Chi Sono

IL MIO PERCORSO PROFESSIONALE

Una visione attuale, moderna, in senso umano e non solo tecnico, induce a concepire la struttura “casa” come un luogo, un mezzo per impostare un nuovo modello di cittadinanza: costruire “con i mattoni” il passaggio dal vivere la vita dentro la casa e dentro il lavoro, al vivere attivamente la vita dentro la città, il territorio, il paesaggio abitato.

DIRITTO ALLA CASA

DIRITTO AD UN ABITARE SOCIALE DIFESA DEL PATRIMONIO

PUBBLICO CASA CONDIVISA

AUTORECUPERO

Ho avuto occasione di lavorare per diverse Pubbliche Amministrazioni e ho molto amato poter servire la cosa pubblica. Ho anche lavorato per i privati, persone o aziende, e, in quel caso, ho cercato di interpretare le loro esigenze che si dovevano armonizzare con la vita della città e degli altri cittadini. Amo la paesaggistica, branca in cui mi sono anche specializzata, perché sento l’esigenza che i muri di pietra, di cemento, di mattoni siano vissuti ed animati dalle persone, dagli animali, ma che anche siano avvolti dal movimento irregolare della crescita dei vegetali. 

Il mio interesse principale di lavoro e di ricerca è sulla qualità dell’abitare: comporre dei disegni di vita insieme, costruire in modo condiviso spazi e progetti del vivere collettivo. Ed anche costruire insieme edifici e parti di città con le proprie mani: l’autocostruzione. 

Realizzare “con i mattoni” un moderno passaggio dal vivere la vita chiusi dentro la casa e dentro il lavoro al vivere la vita in rapporto propositivo con la città. Ho avuto la fortuna di progettare diverse piazze. E’ stata l’occasione per pensare spazi che, per loro vocazione, possono favorire l’incontro delle persone, l’occasione per creare luoghi nuovi rendendo concreta un’immagine che, quando è bella, muove ad un senso più pieno della vita. Le piazze, naturalmente, non sono state che uno dei modi possibili. L’architettura è modellazione dello spazio che include il movimento, la vita dentro di sè. La potenza dell’immagine architettonica è forse maggiore di quella pittorica o della scultura, perchè non si lascia solo ammirare ma integra in se stessa la persona che è l’oggetto per cui è nata e per cui vive. L’oggetto architettonico obbliga ad un movimento dentro di esso e solo così può essere compreso; quando si riduce ad immagine bidimensionale per rappresentarlo, si elude la sua essenza e difficilmente può essere apprezzato. Probabilmente, il senso del costruire sta nell’inscindibilità dello spazio, tridimensionale, dal movimento. 

Un edificio nato senza fantasia è solo una porzione di spazio immobile dentro cui ci si spegne. L’architettura, sempre, si esprime al meglio solo quando riesce a legare il costruire con l’espressione poetica che racconta con immagini: immagini fatte di pietra e cemento, dentro a cui vivere, perché si deve andare oltre il buon costruire, necessario ma non sufficiente. L’attenzione, l’intelligenza, portano la tecnica a soluzioni che permettono un benessere più che soddisfacente, che sia alla portata di tutti. La ricerca, che non è affannosa corsa alla produttività, sta sviluppando soluzioni organiche a misura d’uomo. 

Ma la misura dell’uomo è, prima di tutto, pensieri ed emozioni e allora il fare dell’architetto presuppone un interesse forte a stabilire un rapporto con chi frequenterà ciò che egli costruisce; l’oggetto, cui il suo fare mira, è una possibile nuova identità a cui l’utile, che da solo è povero, non ha strumenti per dare risposte. Posso affermare che il cuore del mio lavoro e della mia ricerca umana e professionale è da sempre concentrato sull’aspetto sociale dell’architettura. L’attuale momento storico impone di considerare finito un modo di operare nell’edilizia come quello che fin qui abbiamo conosciuto: costruzione di stanze entro cui stare. Bisogna fare un salto, oltre a quello tecnologico, cogliere e seguire i germi dell’insoddisfazione sociale del vivere parcellizzato nelle case, dovendo cercare fuori, spesso senza trovarli, i servizi essenziali alla vita. Perciò gli obiettivi e gli impegni che ho perseguito e sto perseguendo, anche coinvolgendo gli enti pubblici, vanno dalla casa condivisa (“cohousing”), all’autocostruzione, dal recupero degli immobili pubblici, alle residenze temporanee per situazioni d’emergenza e agli orti urbani. 

Costruire spazi che interrompano la solitudine che accompagna l’attuale modello di società e spezzino la separatezza tra pubblico e privato, insieme alla difesa del patrimonio pubblico, del bene collettivo. Perciò spero che nei miei progetti, che non sono esclusivamente architettonici ma sono progetti sociali, ci sia, in nuce, il superamento della “comunità”: non solo “cohousing” tra persone amiche e che si stimano, ma gruppi di cittadini che, usando gli spazi collettivi della casa, propongano cultura e servizi alla città e al territorio. 

Con l’autocostruzione ho verificato che si può realizzare il recupero di un edificio in abbandono con una bassissima spesa; coinvolgendo nel lavoro persone delle più varie età, professioni e nazionalità, si pongono le basi dei rapporti amichevoli per una futura collaborazione nella casa. Ho verificato che il lavoro di autorecupero di un edificio collettivo può dare una forte identità a chi, venuto da un altro paese, saprà di aver fornito una ricchezza al paese ospite. 

In questo ambito ho realizzato la casa in via delle Torri, che ha un corpo esclusivamente ad uso collettivo. Nel contempo, ho individuato un mulino cinquecentesco in abbandono, il Mulino di San Moro a Campi Bisenzio, proprietà del Comune di Firenze, e con un collega abbiamo predisposto il Progetto Definitivo per collocarvi residenze ed attività collettive. 

Grazie ad un piccolo finanziamento regionale, si è aperto il cantiere per l’autorecupero del Palazzo del Podestà al Galluzzo, proprietà del Comune di Firenze, in cui si realizzeranno otto appartamenti e si introdurrà una sperimentazione di uso in comune con la Pubblica Amministrazione: la Sala consiliare sarà in uso per le attività del Comune e alternativamente, in coordinazione, sarà usata per attività promosse dal collettivo dei residenti.

Quanto fin qua descritto va collegato all’inizio della mia storia professionale, che si è svolta coltivando, a latere dell’architettura, la passione per le piante, per la botanica, per il territorio. Da qui l’interesse per la paesaggistica, che mi condusse a specializzarmi presso il Politecnico di Milano, quindi, collaborando con un bravo ed esperto paesaggista, a progettare restauri del paesaggio, riqualificazioni ambientali e piani del verde e ad insegnare in un istituto privato di formazione superiore, Villa Montaldo a Firenze, che con lungimiranza aveva fondato una scuola di giardino e paesaggio. 

Quando, agli inizi, mi volli mettere alla prova, partecipando ad un concorso nazionale, vinsi ed ebbi l’incarico per la riqualificazione del centro storico di Milis, piccolo e bellissimo paese in provincia di Oristano e realizzai due piazze. In seguito, altre Amministrazioni pubbliche della Sardegna mi hanno chiamato per riqualificare le loro piazze e i loro spazi pubblici. 

Con lo stesso impegno mi sono occupata di restauri e ristrutturazioni di edifici privati. Tra questi, un’esperienza rilevante è stata quella per un insieme di edifici in Firenze: un “centro storico minore”, residuo agricolo ormai al centro della città. Si giocò tra il restauro rigoroso e la ricerca di contemporaneità, applicando ante litteram principi di bioarchitettura. 

Un incontro fondamentale per la mia formazione è stato con il lavoro dello psichiatra e artista Massimo Fagioli, insieme ad un gruppo di architetti. Furono incontri collettivi e confronti con lui, per dare forma a pensieri e immagini di architettura e sull’architettura. Il lavoro ha prodotto teoria e splendide realizzazioni. Dall’artista psichiatra mi sono state regalate idee geniali, profondamente legate al senso dell’oggetto che si doveva costruire: una torre-enoteca, una riqualificazione urbana con tre piazze, insieme ad altri colleghi, così come una palestra e teatro a Firenze. 

E idee per una piazza che si costruì nel cuore della Puglia. Ho verificato di persona che l’opera realizzata provoca reazioni, commenti, immagini. Una donna, cultrice dell’arte e che niente sapeva della storia, d’impulso commentò, vedendola, che vi leggeva l’immagine di una donna nera. Guarda caso, il progetto era stato denominato “le malìe della strega”. 

Grazie alla mia esperienza nel costruire spazi esterni nuovi, mi furono chiesti progetti per piazze e riqualificazioni di centri storici, oltre che in Sardegna e Puglia, anche in Toscana e in Alto Adige. 

Per molti anni ho lavorato in Sardegna, soprattutto nel pubblico, e così è capitato che un medico, una donna amante di quell’Isola, mi incaricò di costruire un centro di terapia e turismo nella campagna della provincia di Oristano. I tre ettari incolti intorno alle case diventarono giardino, orti e agrumeto, gli spazi esterni diventarono corridoi per gli interni. Abbiamo voluto costruire con entrambi un modo di abitare. 

Uno studio sui giardini pubblici del Comune di Firenze mi portò ad un approfondimento di ricerca sull’ottocentesco giardino dell’Orticoltura e il Comune mi incaricò, insieme ad un collega, del progetto europeo “ReGreen”: rivalorizzare i giardini storici con serre (greenhouses). Il grande Tepidario di Firenze si confrontò con il bellissimo giardino pubblico di Girona (Spagna) e con il giardino di Schönbrunn e le sue gigantesche serre, a Vienna. Incontrarsi, confrontarsi e progettare tra diverse nazioni mi ha fatto provare il senso di un respiro grande, un’ossigenazione profonda. 

Ancora, per il Comune di Firenze progettai la qualificazione e riorganizzazione della parte della città adiacente al Giardino dell’Orticoltura; così lo studio storico del giardino mi indusse a sviluppare un progetto che riaffermasse il valore con cui esso era nato, fondato dalla ottocentesca Società dell’Orticoltura. Presentai una forma di giardino originale per Firenze, ma anche per le altre città italiane: un luogo che accanto agli spazi d’incontro cittadini riproponesse la sperimentazione delle coltivazioni orticole. Proposi di costruire nel centro di Firenze un grande orto-giardino. 

Per una Società di produzione di ottimo vino nel Chianti ho costruito un corpo della cantina di produzione. Il cemento armato, il rame e il cotto del nuovo edificio sono diventati la pelle di un grande animale che sta acquattato a guardia delle vigne. 

Pensando che anche l’architettura andava manifestata come immagine, portai, con una collega, una mostra di alcune nostre opere significative in diverse città: a Pisa, a Roma, a Firenze, a Livorno, e nel castello di Genazzano (Roma), sede di Esposizione delle arti contemporanee. 

Poi organizzai altre Mostre e Convegni per valorizzare il fare delle donne architetto, fino al XXIII Congresso Mondiale d’Architettura al Lingotto di Torino, dove presentai anche miei lavori. 

Non ultimo, dal 2009 ho fatto parte del comitato “Il Meccanotessile è dei cittadini” e con costanza e determinazione abbiamo, prima contrastato la vendita (l’alienazione) del grande patrimonio pubblico che è la porzione rimasta delle Officine Galileo che sono l’identità del quartiere di Rifredi e della città di Firenze, poi, dialogando con l’Amministrazione, abbiamo ottenuto un giardino pubblico nell’area ed un nuovo parcheggio. Ora si continua a lavorare affinché tutte le parti della ex fabbrica siano di servizio per la cittadinanza.